Augusto Ghetti - Processo per il disastro del Vajont

Tipologia Fondo
Data cronica
1953 - 1972
Augusto Ghetti (9 Ottobre 1914 - 14 Febbraio 1992)
Augusto Ghetti (9 Ottobre 1914 - 14 Febbraio 1992)

Tipologia

Fondo

Contenuto

Il fondo contiene la documentazione prodotta da Augusto Ghetti nei sette anni (1963-1970) in cui venne coinvolto nelle indagini, e poi nel processo, sul disastro del Vajont. 
Sono presenti le seguenti tipologie di documenti:
corrispondenza;
documentazione tecnico-scientifica;
atti del processo;
raccolte di giornali.

In particolare:
- corrispondenza tra Augusto Ghetti e i suoi consulenti scientifici e gli avvocati difensori;
- relazioni tecnico-scientifiche, usate dalla difesa nel corso del processo, sulla frana del Vajont e sul modello idraulico;
- documentazione di carattere amministrativo e contabile;
- un plastico riproducente la frana del Vajont in scala 1:5000;
- alcuni atti relativi alle varie fasi dell'istruttoria;
- le trascrizioni di alcune udienze;
- la sentenza del Giudice Istruttore del Tribunale di Belluno e quelle dei primi due gradi di giudizio;
- un'ampia raccolta di quotidiani, riviste e periodici, in massima parte risalenti agli anni '60.

 

Consistenza rilevata

Quantità
30
Tipologia
busta/e
Consistenza (testo libero)
Il fondo misura 3 metri lineari.
Quantità
1
Tipologia
scatola/e
Quantità
143
Tipologia
fascicolo/i
Quantità
1389
Tipologia
documento/i

Storia istituzionale/Biografia

Augusto Ghetti nacque a Venezia il 9 ottobre 1914, in una famiglia dell'alta borghesia veneziana che gli impartì un'educazione rigida e severa. Il padre, Ottaviano, noto ingegnere idraulico, fu per vari anni direttore della SADE (Società Adriatica di Elettricità), alla quale diede un grande contributo per lo sviluppo nel campo idroelettrico: a lui venne, tra l'altro, intitolata la centrale idroelettrica sita a San Floriano Nuova di Vittorio Veneto, costruita dalla SADE su progetto di Vincenzo Ferniani e inaugurata nel 1923, oggi dismessa.
Dopo aver compiuto brillantemente gli studi classici Augusto Ghetti si iscrisse prima a Lettere, poi, seguendo la tradizione famigliare, alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Padova. Studente esemplare, si laureò a ventitré anni summa cum laude in Ingegneria civile idraulica il 10 novembre 1937. Il suo progetto di laurea, intitolato I pozzi piezometrici per gli impianti idroelettrici, gli fece vincere la Medaglia d'oro della Fondazione Sarpi, che conferiva questo premio ogni anno al miglior laureato in ingegneria. 
Nel 1939 ebbe inizio la sua carriera accademica all'Università di Padova, con la nomina ad assistente di ruolo alla cattedra di Impianti speciali idraulici tenuta dal suo Maestro Francesco Marzolo, con cui condivideva l'interesse per gli studi umanistici e l'amore per la chiarezza espositiva. Nel 1940 comparve il suo primo lavoro, intitolato Saggio sulla teoria della similitudine nei modelli dei pozzi piezometrici, pubblicato negli "Atti e memorie della Regia Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Padova".
La sua carriera accademica subì una brusca interruzione tra il 1940 e il 1945, quando venne chiamato a svolgere il servizio militare e partecipò al secondo conflitto mondiale in qualità di ufficiale della Regia Aeronautica in Grecia. Dopo l'8 settembre 1943 fu internato in Turchia. Riuscì a fuggire dal Mare Egeo e nel novembre 1945 ritornò a Venezia.

Riprese subito la carriera universitaria e nel 1947 vide la luce il suo secondo lavoro, intitolato Fiumi, lagune e bonifiche venete, pubblicato in collaborazione con Francesco Marzolo negli "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti": si tratta di una monumentale guida bibliografica, fondamentale per gli studi dei problemi idraulici del Veneto, dalla quale emerge una costante del successivo lavoro di Ghetti, ossia la sua grande passione per la ricerca bibliografica. Nel 1948 divenne direttore della Biblioteca centrale della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Padova e mantenne questo incarico per quarantuno anni, fino al 1989.
Nel 1950 fondò la rivista "Bibliografia Italiana di Idraulica" e ne rimase un instancabile animatore fino agli ultimi anni di vita. Nel 1951 vinse il concorso alla cattedra di Idraulica dell'Università di Palermo. Nel 1952 venne incaricato di tenere il corso di Idraulica all'Università di Padova in sostituzione di Ettore Scimemi, scomparso prematuramente nello stesso anno, e divenne direttore del Laboratorio dell'Istituto di Idraulica.
Nel 1953 si sposò con Edda Borsetto, dalla quale ebbe i figli Renata, Maria Cecilia ed Enrico.
Nel 1954, nella medesima Università, fu nominato professore straordinario di Idraulica e mantenne questa cattedra fino al 1978.

In questi anni si profilarono in modo chiaro alcuni dei suoi fondamentali interessi, di natura teorica più che pratica: i problemi idraulici degli impianti idroelettrici; il regime idrologico e idraulico dei corsi d'acqua naturali; l'abilità di unire il rigore matematico alla sperimentazione; il radicamento nella tradizione degli idraulici veneti del passato, come Pietro Paleocapa, Domenico Turazza, Gustavo Bucchia e, in tempi più recenti, Ettore Scimemi e Francesco Marzolo.

Nel 1953 collaborò all'istituzione, sotto il patrocinio della SADE e specificamente di Carlo Semenza, del Centro Modelli Idraulici (CIM) "Ettore Scimemi", con sede presso la centrale idroelettrica di Nove di Vittorio Veneto, allo scopo di trattare i diversi problemi idraulici, tecnici e scientifici posti dalla progettazione e dalla gestione degli impianti idroelettrici della SADE. Dopo l'istituzione del CIM, venne incaricato di coordinare e dirigerne l'attività sperimentale e divenne anche membro del Comitato di direzione.
Nel 1955 fondò, con la collaborazione dell'ingegnere Filippo Beorchia Nigris del Genio Civile, il Centro di ricerche sperimentali di Voltabarozzo a Padova. Sempre nel 1955 collaborò alla progettazione di grandi opere idrauliche: la galleria Adige-Garda, la centrale idroelettrica di Isola Serafini e la sistemazione del delta del Po. Nello stesso anno contribuì a istituire il primo corso in Italia di Idromeccanica applicata. 
Nel 1957 scrisse insieme all'ingegnere Egidio Indri una relazione intitolata Modello per lo studio del funzionamento dei serbatoi dell'impianto Piave-Boite-Maè-Vajont: fu la prima circostanza in cui Ghetti si occupò del Vajont, che tanto peso avrebbe avuto nella sua vita non solo professionale nel decennio a venire.
Dal 30 dicembre 1958 divenne socio corrispondente dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, per la Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali; diventerà socio effettivo circa dieci anni dopo, il 5 luglio 1968. 
Nel 1959 divenne socio dell'Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti.
Nel 1960 fu nominato, assieme a Francesco Marzolo, consulente idraulico per la realizzazione della diga del Mis (a San Giuliana di Sospirolo), fatta costruire dalla SADE su progetto di Carlo Semenza, ed ebbe modo di lavorare a stretto contatto con alcuni protagonisti della vicenda del Vajont, quali Alberico Biadene, Mario Pancini, Giorgio Dal Piaz, Edoardo Semenza (geologo da poco laureato e figlio di Carlo Semenza) e Pietro Caloi.

Il coinvolgimento ufficiale di Augusto Ghetti nella vicenda del Vajont iniziò dopo che Carlo Semenza decise di prendere dei provvedimenti in merito al preoccupante stato di instabilità del versante sinistro del Monte Toc. Il 27 novembre 1960 Semenza chiese perciò a Francesco Marzolo di svolgere un'indagine per cercare di capire che tipo di onda avrebbe potuto produrre la rottura della diga del Vajont. Marzolo provvide ad informare Ghetti della richiesta di Semenza.
Il 31 gennaio 1961 ebbe luogo a Padova una riunione in cui Carlo Semenza, ascoltato da Marzolo e Ghetti e da alcuni ingegneri membri della SADE, propose di effettuare delle ricerche sperimentali su un modello idraulico per capire quali effetti idraulici avrebbe potuto produrre la caduta, nel lago-serbatoio del Vajont, del versante sinistro del Monte Toc.
Nel marzo 1961 iniziò la progettazione del modello idraulico a Nove, che venne costruito, in una scala di riduzione di 1:200, dal 6 giugno al 10 luglio 1961, in uno scoperto attorno alla Centrale idroelettrica della SADE.
Il 16 maggio 1961 Egidio Indri, allora alto dirigente della SADE e membro del Servizio Costruzioni Idrauliche, scrisse una lettera a Francesco Marzolo e per conoscenza ad Augusto Ghetti, con le istruzioni preliminari per le ricerche su modello: si trattava in assoluto del primo modello degli effetti idraulici di una frana costruito al mondo.
Il 19 luglio 1961 Egidio Indri scrisse un'altra lettera ad Augusto Ghetti, fornendogli le prime indicazioni e una possibile impostazione delle ricerche.
La direzione degli esperimenti e la responsabilità scientifica delle ricerche vennero dunque affidate a Ghetti.
Nel corso degli esperimenti i collaboratori di Ghetti furono, per l'Istituto di Idraulica, Pier Antonio Rolla e Marcello Benedini (a cui venne in seguito affiancato Ugo Fiorentini), e, per la SADE, Egidio Indri e Mario Pancini (direttore dei lavori per la costruzione della diga del Vajont). 
Gli esperimenti di Ghetti consistettero nel far scendere nell'acqua, con modalità varie e a velocità variabili, masse di materiale (nello specifico, ghiaia) dotate di volume e peso corrispondenti in scala ridotta a quelli reali. Lo scopo della caduta del materiale era quello di simulare la caduta della frana all'interno del lago.
Le prime due prove si tennero il 30 agosto 1961. Il 19 settembre successivo vennero svolte la quarta e la quinta prova. Erano le ultime due della prima serie di prove, considerata di carattere orientativo. Il giorno stesso il modello venne visitato da due funzionari del Ministero dei Lavori Pubblici, Giovanni Padoan e Curzio Batini.
Il 30 ottobre 1961 morì improvvisamente Carlo Semenza, che supervisionava l'intera ricerca, e venne sostituito da Alberico Biadene.
Le prove ripresero il 3 gennaio 1962. Ghetti decise di apportare alcune significative modifiche, irrobustendo il materiale di frana e usando una diversa superficie di scivolamento.
Gli esperimenti (furono in tutto ventidue) proseguirono fino alla fine di aprile. L'ultima prova si tenne il 24 aprile e fu considerata da Ghetti quella più significativa.
Nel frattempo, Ghetti divenne, dal 1° giugno 1962, direttore dell'Istituto di Idraulica, sostituendo Francesco Marzolo.
Poco più di due mesi dopo (il 3 luglio) Ghetti spedì alla SADE la relazione definitiva sull'esito delle prove su modello. In questa relazione, intitolata Esame su modello idraulico degli effetti di un'eventuale frana nel lago-serbatoio del Vajont, Ghetti pervenne a due conclusioni:
a) nel lago-serbatoio, la quota di massimo invaso per la quale non si sarebbero dovuti temere pericoli da un'eventuale frana, era da stimarsi 700 m.s.m.m.;
b) era opportuno proseguire gli esperimenti su modello per verificare sia la possibilità di invasi a quote maggiori, sia quale rischio avrebbe rappresentato per il paese di Longarone la tracimazione della diga.

Tuttavia, la SADE non autorizzò il prosieguo degli esperimenti, non vi fu più alcuna riunione del CIM intorno allo stato del modello e Ghetti non sentì più parlare del Vajont fino alla data del disastro.
Non seppe, quindi, che la SADE non inviò la sua relazione al Servizio Dighe del Ministero del Lavori Pubblici (come prevedeva il normale iter burocratico) e che i tecnici dell'impianto chiesero e ottennero di invasare il lago-serbatoio a quote molto maggiori di quella prescritta da Ghetti (si arrivò a 710 m., ma si pensò di portare la quota addirittura a 715 m.). Il programma intensivo di invasi e svasi rapidi attuato dai tecnici dell'impianto nel corso del 1963 compromise definitivamente la stabilità del versante sinistro del Monte Toc.

Il giorno del disastro, il 9 ottobre 1963, Ghetti compiva il suo quarantanovesimo anno.

Il 12 ottobre Ghetti e i suoi collaboratori dell'Istituto di Idraulica iniziarono a raccogliere tutta la documentazione in loro possesso riguardante le prove su modello, allo scopo di metterla a disposizione dell'autorità giudiziaria. Nel corso delle ricerche si accorsero che era scomparsa una copia della relazione delle prove. Dopo alcuni giorni di indagini si scoprì che la relazione era stata rubata da un tecnico disegnatore dipendente dell'Istituto, Lorenzo Rizzato, il quale l'aveva consegnata al parlamentare del Partito Comunista Italiano Franco Busetto, che a sua volta spedì la relazione ai quotidiani "l'Unità" e "Il Giorno". La relazione venne pubblicata su questi due quotidiani pochi giorni dopo e venne accompagnata da articoli che lasciavano intendere che l'Istituto di Idraulica (e quindi Ghetti) avesse contribuito a insabbiare elementi scottanti.
Lorenzo Rizzato venne denunciato per furto e processato ma venne assolto per insufficienza di prove. 
Solo nel 1996, più di trent'anni dopo, in una puntata della trasmissione televisiva Mixer del 6 maggio dedicata al Vajont, Rizzato ammise di essere stato l'autore del furto.


Nel corso delle indagini istruttorie, durate quattro anni, Ghetti venne interrogato tre volte: il 6 dicembre 1963 (dal Procuratore della Repubblica di Belluno Arcangelo Mandarino), l'8 maggio 1967 e il 20 settembre 1967 (negli ultimi due casi dal Giudice Istruttore del Tribunale di Belluno Mario Fabbri).

Nel frattempo, poco dopo l'inizio delle indagini, Ghetti aveva nominato suo avvocato difensore Giuseppe Zuccalà, noto penalista professore di Diritto Penale all'Università di Padova e membro dell'Istituto di Diritto Pubblico nello stesso Ateneo.

Successivamente, a partire dal 1966, Ghetti si avvalse della consulenza scientifica di numerosi scienziati.
Uno di questi fu Charles Jaeger, professore al Politecnico Federale di Zurigo e all'Imperial College di Londra, che cominciò subito a studiare il problema e ad elaborare una memoria tecnica.
Così fecero anche altri due consulenti nominati da Ghetti, Giulio Supino, ordinario di Idraulica all'Università di Bologna, e Giuseppe Evangelisti, ordinario di Costruzioni idrauliche nel medesimo Ateneo.
Il suo collaboratore più stretto fu però Claudio Datei, ingegnere idraulico suo amico e collega all'Università di Padova, il quale diede un contributo fondamentale, anche a livello umano, alla difesa di Ghetti.

Il 23 novembre 1967, qualche mese dopo la fine delle indagini, il Pubblico Ministero Arcangelo Mandarino depositò la sua requisitoria presso il Tribunale di Belluno. Veniva chiesto il rinvio a giudizio per undici imputati, tra i quali figurava Ghetti. Il 21 febbraio successivo il Giudice Istruttore Mario Fabbri depositò presso lo stesso tribunale la sentenza di rinvio a giudizio. Augusto Ghetti, quindi, sarebbe stato processato assieme a tutti gli altri imputati.
Fu il momento più drammatico della vicenda giudiziaria di Ghetti. L'accusa rivolta nei suoi confronti era pesantissima: aver ignorato gli studi geologici sulla valle del Vajont precedenti alle prove di Nove, aver simulato la caduta della frana in modi non corrispondenti a quelli reali, essere stato succube delle decisioni della SADE e aver in generale avuto una condotta caratterizzata da imperizia, imprudenza e negligenza. In sostanza, Ghetti era accusato di aver cooperato con gli altri imputati al verificarsi del disastro.
Ghetti rischiava non solo una dura condanna, ma anche che per causa sua venisse compromessa la fiducia nella scienza idraulica e infangata l'immagine della scuola di ingegneria di Padova.

I consulenti della sua difesa avevano intanto già provveduto a licenziare le proprie memorie tecniche difensive. Il 20 dicembre 1967 Giulio Supino e Giuseppe Evangelisti licenziarono la loro Consulenza tecnica in difesa di Augusto Ghetti. Il 13 dicembre 1967 Charles Jaeger licenziò il suo Parere 'pro veritate' in difesa di Augusto Ghetti. Il 20 dicembre 1967 il suo avvocato Giuseppe Zuccalà depositò presso il Tribunale di Belluno la sua Istanza difensiva nell'interesse del Prof. Augusto Ghetti.

Ciò che preoccupava maggiormente Ghetti erano i risultati ottenuti da un collegio di periti stranieri nominati dal Giudice Istruttore il 27 luglio 1966, tra i quali vi era Marcel Roubault, direttore della Scuola nazionale di Geologia applicata dell'Università di Nancy. Questi, tra il 1966 e il 1967, svolse degli esperimenti su modello in scala 1:830 che riproducevano la frana del Vajont e che sembravano dimostrare inoppugnabilmente la scorrettezza del modello di Nove. I periti rilasciarono la loro relazione il 23 giugno 1967. I risultati esposti vennero accolti sia dal Pubblico Ministero, sia dal Giudice Istruttore e furono alla base di gran parte delle accuse rivolte a Ghetti.

Ghetti e la sua difesa esaminarono attentamente il testo della perizia e, con il contributo fondamentale di Claudio Datei, appurarono che i dati che accompagnavano la relazione di Roubault (in particolare quelli relativi ai tempi di caduta della frana) erano sbagliati e che le conclusioni della sua relazione non erano valide. 
Nel luglio 1966 anche il perito di parte civile Ladislav Votruba, professore di Idraulica al Politecnico di Praga, svolse delle nuove prove su modello in scala 1:500; gli esperimenti di Ghetti, invece di venire confutati dai risultati di queste prove, vennero confermati.
Inoltre, nel corso del 1968 Datei e il tecnico dell'Istituto di Idraulica Ettore Lippe, guidati da Supino ed Evangelisti, misero in piedi un nuovo modello idraulico (in scala 1:500) negli spazi del Laboratorio di Idraulica dell'Università di Padova. Vennero, in sostanza, rifatti gli esperimenti di Nove tenendo conto di tutti gli elementi emersi dallo studio della frana successivamente al disastro. I risultati dei nuovi esperimenti furono tanto rassicuranti per la posizione di Ghetti, quanto sconcertanti:
- il disastro era stato causato non tanto dalla frana, ma dall'abnorme velocità con la quale essa era caduta nel lago (poco più di 20 secondi); 
- in base agli elementi forniti dalla SADE, era impossibile prevedere che la velocità di caduta sarebbe stata così alta;
- se non fosse stata superata la quota 700 prescritta da Ghetti, la tragedia avrebbe potuto essere evitata.

Nel corso del 1968 Augusto Ghetti provvide a nominare altri due avvocati difensori: i penalisti Arturo Sorgato, veneziano, e Gaetano Bellisari, patrocinante in Cassazione con studio legale a L'Aquila, entrambi noti per le grandi capacità oratorie e per la logica stringente.

Il processo cominciò a L'Aquila, nelle aule del Tribunale Penale, il 25 novembre 1968.
Tra febbraio e marzo del 1969 Ghetti venne sottoposto ad un serrato interrogatorio durato tre settimane in cui diede ai giudici risposte dettagliate e circostanziate. In diverse udienze illustrò, su una lavagna, complesse formule di idraulica e idrodinamica. 
I cardini della difesa di Ghetti, e dei suoi avvocati nelle loro arringhe, furono i seguenti:
a) l'accusa di aver ignorato gli studi geologici precedenti non aveva ragion d'essere, dal momento che tutti gli elementi della ricerca (ipotesi di movimento della frana, piano di scorrimento, volume ecc.) erano stati forniti dalla SADE, nello specifico da Carlo Semenza, il quale era un'indiscussa autorità mondiale in materia. Ghetti, non essendo geologo e non avendo alcuna ragione di dubitare dei dati che gli erano stati forniti, non era tenuto a chiedere ulteriori chiarimenti;
b) egli dimostrò con dovizia di particolari che le modalità in cui aveva svolto le prove erano corrette;
c) ribadì con forza di non essere mai stato succube delle decisioni della SADE, come confermava un episodio accaduto il 30 marzo 1962: in quella data si era tenuta una riunione del CIM in cui Ghetti aveva esposto al Comitato direttivo i risultati delle prove fino allora ottenuti. In quella riunione, giudicando che i tempi di caduta del materiale di frana da lui adottati (ossia 1-2 minuti) fossero troppo ridotti, gli venne suggerito di prolungarli fino a 5 minuti. Ghetti non accolse questo suggerimento, in quanto riteneva che fosse prudenziale simulare tempi di caduta della frana più rapidi, e quindi più catastrofici, di quelli ipotizzati dalla SADE;
d) le difformità dei risultati del suo modello rispetto all'evento reale erano dovute esclusivamente all'impossibilità di prevedere, con i dati forniti dalla SADE, l'abnorme velocità della frana;
e) perciò, il disastro era da addebitare unicamente ai tecnici dell'impianto, i quali avevano deciso di superare la quota d'invaso di 700 m. da lui indicata.

Inoltre, il perito Marcel Roubault nel corso di un'udienza rettificò in parte le conclusioni della sua relazione e diede ragione a Ghetti, per poi tornare sulle posizioni precedenti nel libro Le catastrofi naturali sono prevedibili, pubblicato nel 1970.

Nel frattempo, ai consulenti scientifici di Augusto Ghetti si era unito anche Lelio Stragiotti, direttore dell'Istituto di Arte Mineraria del Politecnico di Torino, il quale, il 3 aprile 1969, licenziò le sue Considerazioni su taluni aspetti geomeccanici e dinamici della frana del Vajont, con riferimento in particolare alle conseguenze del superamento della quota 700 nell'invaso del bacino.
Il giorno prima, il 2 aprile, Giulio Supino e Giuseppe Evangelisti, avevano licenziato le Ulteriori indagini tecniche in difesa del Prof. Ghetti - Vajont - La validità delle esperienze sul modello di Nove.

Inoltre, sempre nel 1969, vide la luce lo studio di Claudio Datei Su alcune questioni di carattere dinamico relative ad un eccezionale scoscendimento di un ammasso roccioso, che diede un ulteriore fondamentale contributo alla difesa.

La difesa Ghetti si rivelò dunque estremamente efficace e il Tribunale Penale di L'Aquila accolse tutte le sue istanze.
La sentenza del 17 dicembre 1969 lo assolse con formula piena per non aver commesso il fatto, sancendo la sua totale estraneità al tragico evento.
Tuttavia il ricorso in appello venne presentato anche nei confronti di Ghetti.

Nel processo d'appello, iniziato il 20 luglio 1970, si rivelarono determinanti le arringhe di Arturo Sorgato e Gaetano Bellisari, i quali convinsero la Corte che non vi era stato alcun rapporto causale tra l'attività di Augusto Ghetti e la cattiva gestione del serbatoio, unica ragione del disastro.

Nello stesso anno, Claudio Datei pubblicò un altro studio che apportava ulteriori contributi a dimostrare la correttezza dei procedimenti di Ghetti: Considerazioni sull'impiego di materiali incoerenti e permeabili per lo studio su modello di fenomeni di moto vario nei serbatoi.

Con la sentenza della Corte d'Appello del 3 ottobre 1970 Ghetti venne nuovamente assolto con formula piena per non aver commesso il fatto.

La sua vicenda giudiziaria si era dunque conclusa.

La vicenda processuale causò ad Augusto Ghetti una immane sofferenza morale e psicologica, che sopportò con grande coraggio e senso del dovere e che condivise solo con una cerchia assai ristretta di amici e colleghi.
Fra gli imputati che avevano ricevuto incarichi dalla SADE, inoltre, Ghetti fu l'unico a non venire sostenuto finanziariamente dalla Montecatini-Edison (nel 1965, un anno prima della sua fusione con la Edison, la Montecatini aveva assorbito la SADE).
Non va dimenticato, infine, che i mezzi di comunicazione di massa hanno descritto (e continuano a descrivere) la figura, il ruolo e la vicenda di Ghetti in modi molto spesso non corrispondenti alla realtà.

Ma alla fine la giustizia, ciò che più importava ad Augusto Ghetti, gli diede ragione.

Le conclusioni della sua difesa diventarono note in tutto il mondo scientifico e costrinsero alla modifica di tutti i regolamenti inerenti alla gestione delle dighe.

Anni dopo, in un dialogo privato avuto con Claudio Datei, egli definì la dimostrazione in sede processuale della correttezza del modello idraulico "la più bella lezione della mia vita".

Nel corso degli anni '70 e '80, Augusto Ghetti poté dedicarsi ad altre due sue grandi passioni: la salvaguardia di Venezia e la storia dell'idraulica. Pubblicò studi su Giovanni Poleni (che considerava un suo lontano modello), Pietro Paleocapa e Léopold Escande.
Negli anni '70 fece parte della Commissione interministeriale per la difesa del suolo (Commissione De Marchi). Nel 1974, negli atti della commissione, vennero pubblicati i suoi studi sui bacini del Livenza e del Piave.
Nel 1974 divenne membro del Rotary Club Padova, di cui fu vice presidente dal 1978 al 1980. Nel 1976 gli fu conferita la Medaglia d'oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte e divenne membro della Commissione Italiana per il programma Idrologico Internazionale del CNR e della Commissione Italiana per l'UNESCO, Comitato per le Scienze Esatte e Naturali.
Nel 1977 venne incaricato dalla Giunta regionale del Veneto di elaborare il Piano Direttore per il disinquinamento della Laguna di Venezia. Sempre nel 1977 diede alle stampe quella che costituisce probabilmente la sua opera più importante, il manuale Idraulica, riedito nel 1980 per i tipi della Libreria Internazionale Cortina: questa opera, che rappresenta la definitiva sistemazione dei suoi materiali didattici, costituisce ancora oggi un riferimento (non solo didattico) insostituibile e unisce la chiarezza e il rigore scientifico a una prosa di grande limpidezza ed eleganza, ulteriore testimonianza della sua profonda cultura e della sua passione per i grandi trattatisti idraulici del passato. 
Nel 1978 divenne professore di Idromeccanica applicata. Nello stesso anno divenne direttore del Centro Internazionale di Idrologia "Dino Tonini", e mantenne questo incarico fino al 1991.
Dal 1981 al 1984 fu Presidente del Comitato tecnico-scientifico per lo studio dei provvedimenti concernenti la Laguna di Venezia. Nel 1982 divenne vice-presidente dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Nel 1983 fu eletto Presidente della Sezione Triveneta dell'Associazione Idrotecnica Italiana. Fu collocato fuori ruolo nel 1984. Nel 1985 venne nominato Presidente dell'Istituto Veneto: mantenne poi la presidenza per due trienni, fino al 1991. Divenne professore emerito nel 1989.

Morì a Padova, dopo una lunga malattia, il 14 febbraio 1992, all'età di settantasette anni.

Dal 1996, con i fondi messi a disposizione dalla famiglia, l'Istituto Veneto bandisce il concorso al premio triennale "Augusto Ghetti", destinato al riconoscimento di uno studio scientifico che può avere ad oggetto non solo la conservazione della città di Venezia, la sua laguna e il suo ecosistema, ma anche la geomorfologia, la geografia storica, la morfodinamica e l'idraulica ambientale, il tutto applicato sempre all'ambiente di Venezia. Tale studio deve presentare i caratteri di ampiezza di prospettiva e rigore scientifico e storiografico, oltre che consapevolezza della complessità socio-economica del tema trattato.
Il carattere prettamente interdisciplinare di questo premio e la sua intitolazione al nome di Augusto Ghetti costituiscono le ultime, ma non meno importanti, testimonianze della vastità e della profondità degli interessi culturali di questo insigne scienziato.












 

Storia archivistica

Augusto Ghetti, poco prima della morte, dispose che questo fondo venisse depositato presso l'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Non risulta che l'atto del trasferimento sia stato formalizzato; perlomeno non è stato rintracciato nell'archivio dell'Istituto Veneto. Ciò fa pensare che esso non esista e che la decisione di cui sopra sia stata espressa in via orale.
Prima di essere depositato presso l'Istituto Veneto (attuale soggetto conservatore) il fondo era conservato in una stanza della sua abitazione privata, villa Montalban-Ghetti a Collarbrigo di Conegliano. Il trasporto delle carte all'Istituto Veneto è avvenuto nel corso di due o tre viaggi in automobile nel 1991, ed esse sono state poi ricollocate in una stanza dell'ultimo piano dell'immobile sito in Venezia, San Marco 2940, di proprietà dell'Istituto Veneto e denominato "Casa Minich". Nel 2006 il fondo è stato trasferito in una stanza dell'ultimo piano di Palazzo Loredan, la sede principale dell'Istituto. In questa stanza il fondo era distribuito nel modo seguente: settantacinque cartelle titolate da Ghetti stesso (tranne sei che non recavano un titolo) contenenti fascicoli, sotto-fascicoli e documenti sciolti erano contenute in un classificatore di metallo dotato di quattro cassetti (undici di queste cartelle risultavano vuote); nel primo cassetto erano contenute ventiquattro cartelle, nel secondo cassetto altre ventiquattro cartelle, nel terzo tredici cartelle e nel quarto quindici cartelle. Altri fascicoli, cartelle e vari documenti sciolti erano contenuti in un armadio di legno adiacente, disposti uno sopra l'altro in varie file. Infine, il plastico riproducente la frana del Vajont era contenuto in una cassetta di legno.

Nel corso del 2020 i documenti conservati nel classificatore di metallo sono stati inseriti in cartelle provvisorie e ricondizionati in undici faldoni; i fascicoli, le cartelle e i documenti sciolti conservati nell'armadio di legno sono stati ricondizionati in quattordici faldoni. Il plastico è stato lasciato all'interno della cassetta.
Nel 2022, grazie al contributo finanziario della Fondazione di Venezia, è iniziato il lavoro di inventariazione al termine del quale tutti i documenti (tranne, ovviamente, il plastico) sono stati rifascicolati in 143 fascicoli; il tutto è stato poi ricondizionato in trenta nuovi faldoni acquistati appositamente.

Il fondo è attualmente conservato in un armadio a quattro piani all'interno di una stanza sita al piano mezzanino di Palazzo Loredan.



 

Criteri di descrizione

La descrizione è stata effettuata a livello di singola unità documentaria.

Criteri di ordinamento

Il lavoro di ordinamento del fondo si è articolato in tre fasi: il censimento, l'analisi strutturale del fondo e l'ordinamento vero e proprio. Il censimento è consistito nella ricognizione di tutto ciò che è stato trovato nei venticinque faldoni in cui la documentazione era stata provvisoriamente ricondizionata nel corso del 2020 ed è terminato con la redazione di un elenco di consistenza. Dopo questa prima fase, si è proseguito con l'analisi strutturale e si è constatato che i documenti del fondo erano distinti in tre tipologie: un'ampia raccolta di quotidiani e riviste con estremi cronologici dal 1959 al 1970, documentazione tecnico-scientifica sulla frana del Vajont e sul modello idraulico (che comprendeva anche corrispondenza tra Ghetti e i suoi consulenti scientifici) e, da ultimo, documenti inerenti al processo (comprendente, tra gli altri, corrispondenza con i suoi consulenti legali, le tre sentenze del Giudice Istruttore, del Tribunale Penale di L'Aquila e della Corte d'Appello di L'Aquila e le trascrizioni di alcune udienze). La prima tipologia era nettamente separata dalle altre due ed era distribuita in cartelle provvisorie intitolate ciascuna ad un quotidiano o rivista e contenute all'interno di quattro faldoni. La seconda e la terza tipologia di documenti (contenute nei rimanenti ventuno faldoni) versavano in uno stato di profondo disordine: in primo luogo le due tipologie erano mescolate tra di loro, compromettendo in tal modo una agile consultabilità della documentazione; inoltre, la corrispondenza non era ordinata cronologicamente e si è constatata, in molti casi, la separazione tra i documenti principali e i loro allegati; infine, in alcuni fascicoli erano presenti documenti non afferenti al titolo dell'unità archivistica di riferimento. Nel corso di conversazioni private avute con persone che conoscevano Ghetti molto bene è emerso come egli fosse una persona molto ordinata, e ciò contrasterebbe con il disordine di questa parte dell'archivio. Si è dunque cercato di individuare le cause del disordine nei fattori che seguono. Non si può escludere che certi arbitrari rimescolamenti possano essere stati effettuati da chi ha consultato l'archivio precedentemente all'inventariazione, e nel corso dei vari spostamenti ai quali le carte sono state sottoposte. Tuttavia, è possibile che il disordine fosse almeno in parte originario: ordinare la propria documentazione in modo preciso e analitico potrebbe non essere stata una priorità per una persona sottoposta ad una grande tensione morale e psicologica durata quasi dieci anni. Nel corso delle conversazioni private di cui sopra sono emersi altri due elementi: nell'ultima fase della sua vita è possibile che Ghetti abbia accatastato la documentazione senza prestare particolare attenzione all'ordine originario delle carte, in quanto erano la testimonianza di un periodo della sua vita che avrebbe preferito dimenticare. Infine, uno dei motivi per cui Ghetti decise il trasferimento dell'archivio all'Istituto Veneto sembra essere costituito proprio dalla pura e semplice volontà di disfarsene. Si è passati, quindi, alla terza ed ultima fase, cioè l'ordinamento vero e proprio. Si è ritenuto necessario attuare un riordinamento complessivo della documentazione in modo da dotare il fondo archivistico di una struttura chiara e intellegibile. Sono state create tre serie: la prima (intitolata "Documentazione tecnica" e suddivisa in sei sotto-serie, una per tipologia) contiene la documentazione relativa alle prove di Nove, le memorie tecniche dei consulenti di Augusto Ghetti e la loro corrispondenza, testi e relazioni redatti in sede di elaborazione della difesa tecnica, le perizie scritte dai consulenti di Parte Civile, corrispondenza tra Augusto Ghetti e altri ingegneri non coinvolti nella sua difesa e documentazione bibliografica; sono stati, inoltre, creati ex novo dodici fascicoli utilizzando documenti prelevati dai quattordici faldoni in cui era stato riversato il contenuto dell'armadio di legno. La seconda serie (intitolata "Documentazione processuale" e divisa in sette sotto-serie) contiene documentazione relativa all'istruttoria, documentazione inerente al processo, i verbali di sei udienze, corrispondenza tra Augusto Ghetti e i suoi consulenti legali, le istanze difensive e le arringhe dei suoi avvocati, una copia delle prime due sentenze e documentazione contabile e amministrativa; con lo stesso criterio usato nella prima serie, sono stati creati ex novo dieci fascicoli. La terza serie (intitolata "Rassegna stampa" e divisa in tre sotto-serie) contiene la raccolta di alcuni numeri del "Gazzettino" (con estremi dal 1959 al 1970) e del "Corriere della Sera" (con estremi dal 1961 al 1970), e quella di vari altri quotidiani e periodici. La corrispondenza, contenuta nelle prime due serie, è stata riordinata in ordine cronologico e gli allegati sono stati riuniti, ove il legame era evidente, ai loro documenti principali. In linea di massima, si è deciso di adottare il criterio cronologico per riordinare anche le altre tipologie di documenti presenti nei rimanenti fascicoli; le eccezioni, comunque, sono sempre state segnalate nelle rispettive schede descrittive. Nella terza serie i quotidiani e le riviste sono stati riordinati tutti cronologicamente.

Stato di conservazione

Stato
buono

Unità di conservazione

Unità di conservazione
Buste
Numero / i
28
Epoca
successiva
Unità di conservazione
Cassetta
Numero / i
1
Epoca
coeva

Bibliografia

- C. Datei, Vajont. La storia idraulica, Padova 2003 (2° ed 2005).
- Maurizio Reberschak e Ivo Mattozzi (a cura di), Il Vajont dopo il Vajont Venezia 2009.
- Maurizio Reberschak, Il grande Vajont, Sommacampagna 2013.
 

Persona

Ente

Inventario